Nella piazza principale, lungo il corso del torrente Re, si trova il cosiddetto “Mulì de mès”, risalente nell’impianto principale al 1500 ed utilizzato fino al secolo scorso per macinare i cereali di tutti gli abitanti, utilizzando le acque del corso d’acqua e stabilendo con esso un indissolubile rapporto di integrazione funzionale, storico-culturale ed economica.

Si tratta di un elemento tipico del paesaggio agrario camuno (e montano in genere), da sempre presente nella memoria contadina della vita nelle nostre vallate e della campagne. Segale, orzo, grano, oltre naturalmente a granoturco e castagne, costituivano la base dell’alimentazione e dovevano, in gran parte, essere macinati.

Si comprende dunque come i mulini fossero impianti di primaria importanza per l’economia delle popolazioni, ancora chiuse in una forzata autonomia locale.

E sono rilevanti inoltre gli effetti “territoriali” di queste strutture, che si pongono come veri sistemi per le implicazioni e le relazioni urbanistiche che instaurano con l’ambiente costruito e naturale; le opere di presa, i canali, i manufatti idraulici che gli impianti comportano e, talvolta, le deviazioni dei corsi d’acqua, sono elementi di profonda modificazione del territorio che, nel corso dei secoli, si è conformato e sedimentato attorno a queste funzioni, fino a farlo diventare elemento essenziale dell’ambiente stesso.

Il mulino di Cerveno ha un impianto che può essere suddiviso in quattro sezioni distinte:

L’impianto idrico, costituito dalle opere di imbrigliamento-captazione dell’acqua (prese), convogliamento (gore) e regolamentazione delle acque;

L’impianto di azionamento, costituito dall’insieme dei congegni atti a convertire l’energia dell’acqua in moto rotatorio;

L’impianto di macinazione, costituito dalle macine e tutti gli accessori per l’alimentazione regolare e continua delle stesse,

La struttura edilizia, che è contenitore dello spazio più propriamente detto “mulino”.

All’interno dell’edificio, in tempi recenti, l’Amministrazione comunale ha provveduto alle necessarie opere di risanamento e conservazione, promuovendo inoltre la creazione di un percorso didattico-culturale curato dalla Cooperativa Archeologica “Le Orme dell’Uomo”.

Entrando nel mulino scorgiamo immediatamente le macchine che muovevano tutto il lavoro: l’impalcato ligneo legato alla tramoggia, le macine, il piano di lavoro (sotto il quale sono visibili gli ingranaggi di collegamento con albero e ruota), il buratto usato per la crivellazione delle farine.

Un mulino “fotografato” nella sua ingegnosa semplicità, raccolto e conservato nell’attimo in cui la sua storia si chiudeva per continuare a vivere nelle nuove generazioni.